La maggior parte delle varietà di vite coltivate è colpita da ampelopatie causate da funghi, virus, fitoplasmi ed insetti verso i quali le piante non dispongono di resistenze intrinseche. La protezione da questi patogeni richiede pertanto un pesante ricorso a pesticidi, soprattutto nelle aree temperate, con piovosità ed umidità elevate. Nonostante la lotta fitosanitaria oggi sia condotta con principi attivi sicuramente più rispettosi dell’ambiente, la viticoltura resta l’attività agricola maggiormente impattante. In tale contesto la diminuzione dell’utilizzo di anticrittogamici e la salvaguardia delle risorse ambientali sono considerate delle priorità.
Una delle più importanti soluzioni a questi problemi è l’utilizzo delle varietà resistenti (“PIWI” acronimo dal tedesco Pilzwiderstandfähig che letteralmente significa viti resistenti ai funghi) ottenute da incroci naturali tra Vitis Vinifera europea e una selezione di Vitis selvatiche di origine americana e asiatica, donatrici della resistenza alle malattie fungine.
Fin dalla metà del secolo XIX, con l’arrivo prima della filossera e poi di altre malattie, gli incroci si sono resi necessari per evitare l’estinzione della viticoltura e per perseverarne la coltivazione. Già dal 1890 ci furono i primi incroci tra vite selvatica americana (Vitis labrusca) e Vitis vinifera europea, tuttavia con risultati qualitativi modesti (uva fragola) e con un successivo rallentamento della ricerca.
Tutto cambiò a partire dagli anni Cinquanta, con un nuovo forte interesse di ricerca dovuto alla pressante necessità di coesistenza ambientale della vite con fattori inquinanti e scarsità idrica, e con nuovi incroci che furono realizzati tra Vitis vinifera europea e Vitis di origine asiatica presso vari istituti di ricerca soprattutto del centro ed est Europa (come ad esempio l’Istituto di Friburgo e Geiweilerhof in Germania, l’Università di Novi Sad in Serbia, l’Università Brno in Rep. Ceca, l’Istituto Eger in Ungheria). Incroci multipli e successivi per impollinazione, mixando varietà e preservando i geni della resistenza ai patogeni associandoli alla validità della vinificazione. Oggi le uve e i vini ottenuti da varietà resistenti sono perfettamente corrispondenti alle uve tradizionali da vino e iscritti ai cataloghi vitivinicoli nazionali.